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I giovani e i bambini hanno appreso che “il coronavirus è una malattia che ti fa stare molto male” e che “per non prenderla bisogna stare lontani” .
Ora ci interroghiamo sulle possibili conseguenze psicologiche deputate a questo periodo di totale incertezza anche a livello sociale.
Nel suo ultimo saggio “E poi, i bambini. I nostri figli al tempo del coronavirus” (Solferino 2020) afferma che il periodo del lockdown ha rappresentato un momento complesso per i piccoli e i loro genitori.
Spiegare ai bambini che non potevano andare a scuola, incontrare gli amici al parco, uscire a fare una passeggiata non è stato semplice, soprattutto quando la spiegazione era rivolta ai bambini di età prescolare.
L’informazione, non ben articolata, può innescare sentimenti come la paura o la minaccia, ma quali potevano essere le argomentazioni comprensibili per un bambino non ancora in grado di rielaborare un’informazione così complessa?
Lo stravolgimento delle abitudini quotidiane, tanto care e rassicuranti per i bambini, come svegliarsi la mattina per andare a scuola, incontrare i compagni e gli insegnanti, sono esperienze fondamentali perché legate ai ritmi, alle abitudini e ai rituali che accompagnano la vita quotidiana.
Venendo meno possono provocare disorientamento ed insicurezza. La quotidianità rassicura i piccoli creando l’idea d’identità, mancando questi elementi, insieme ad altri stimoli importanti (il confronto con i compagni, i giochi di gruppo) hanno creato una vera e propria sindrome di “deprivazione sociale” .
In età prescolare è fondamentale l’attaccamento ai genitori, ma sono altrettanto importanti, la ricerca e l’esplorazione.
La mancanza di adeguati stimoli comporta conseguenze sul piano psicologico e cerebrale perché il cervello dei bambini è molto sensibile agli stimoli. Il prof. Ammaniti riporta che alcune ricerche hanno evidenziato queste difficoltà nel 30% dei bambini, manifestandosi attraverso disturbi come quelli del sonno, irritazione, sbalzi d’umore, fino a comportamenti oppositivi e crisi di rabbia.
Fortunatamente il cervello dei bambini è plastico per cui la ripresa di una vita normale porta alla scomparsa dei sintomi nel breve termine. Seppur i sintomi tendano a non essere più manifesti, una parte delle difficoltà resterà.
Una riflessione è necessaria anche rispetto a come i bambini conoscono il mondo esterno. Le prime esperienze del bambino sono strettamente legate al movimento e all’incontro con l’altro. Queste esperienze sono fondamentali per due aree dello sviluppo infantile: l’area del linguaggio e quella della socializzazione.
Un periodo prolungato di mancanza di relazioni compromette entrambe le sfere creando una situazione anomala:
1. bambini in difficoltà relazionale
2. ritardo nello sviluppo del linguaggio.
Quindi, seppur con le giustificate apprensioni rispetto ai contagi, teniamo a mente questi dati e permettiamo ai nostri bambini di frequentare i coetanei, magari in piccolo gruppo e con le dovute precauzioni.
Massimo Ammaniti, psicoanalista dell’età evolutiva, professore onorario di Psicopatologia dello sviluppo presso la facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università di Roma e membro della International Psychoanalytical Association
foto di Klaus Soer
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