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La foresta rappresenta l’accesso alla vita psichica, il lupo o la belva sono le paure, la strega o il mago sono il male e il principe salvatore è il passaggio ad una tappa evolutiva successiva. Proprio perché le fiabe parlano al lettore attraverso un linguaggio di simboli che rappresentano l’inconscio i personaggi vengono identificati con nomi generici e descrittivi come “il principe”, “la strega”, “la matrigna”, “il taglialegna”, “il padre”, “il re” etc...
L’identificazione del protagonista è soggetta alla stessa logica. Cenerentola deve il suo nome al fatto di essere sempre sporca di cenere, Biancaneve al suo incarnato, Cappuccetto Rosso al mantello che indossa. Il ruolo dei personaggi e dei luoghi nella narrazione delle favole è il veicolo per permettere una proiezione e un’identificazione.
La funzione della fiaba, a livello psichico, è quella di mettere ordine nel mondo interiore del lettore. Lo scopo è quello di permettere una crescita e una maggiore consapevolezza delle istanze psichiche del bambino.
Si occupano di problemi umani universali, soprattutto per quanto riguarda il mondo interiore e il loro obiettivo è quello di porre il bambino in una situazione “protetta” dove possa trovare una soluzione. Il male e il bene sono sempre rappresentati privi di sfumature o ripensamenti, perché deve essere chiara la matrice.
Spesso la favola inizia con la morte di un genitore che è alla base delle angosce di ciascuno di noi nella vita reale. Altre parlano di un genitore anziano che decide di lasciare che la nuova generazione prenda il sopravvento. Gli eredi sono sottoposti a prove di merito e coraggio per dimostrare la maturità necessaria per accedere al ruolo. Normalmente è il figlio apparentemente meno capace che ha la meglio nella successione, perché il messaggio intrinseco è quello che per raggiungere un obiettivo sono necessari dedizione, impegno e risolutezza. I successi ottenuti con poco impegno sono limitati nel tempo.
Le fiabe non promuovono alcun tipo di stereotipo di genere, in quanto, trattando una realtà psichica non si occupano di stereotipi di genere o culturali.
Il bambino è in grado di comprendere che la favola gli parla attraverso metafore. È consapevole che le vicende narrate non sono fatti reali e non sono legati alla realtà. Lo comprende attraverso l’inizio della narrazione. Tutte le favole presentano la frase introduttiva riconoscibile con “c’era una volta”, “mille anni fa”, “una volta, in un paese lontano” …frasi che indicano in modo chiaro che ciò che si sta per narrare non appartiene alla vita reale.
I luoghi lontani descritti servono a suggerire un viaggio all’interno della nostra mente, nel regno dell’inconsapevolezza, solo al termine del racconto il bambino può ritornare alla realtà. Il bambino in questo modo apprende che attingere al mondo della fantasia non è dannoso, purché non si rimanga prigionieri.
Le favole vanno raccontate e lette ai bambini senza porsi troppo domande, perché il bello è che lavorano da sole nell’inconscio del bambino.
Foto di Blue_Carrilon by Flickr
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